Mimmo Lucano e Rocco Scotellaro

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Mimmo Lucano e Rocco Scotellaro

(Fonte foto: dal web)
E ora tocca a Mimmo Lucano, il sindaco di Riace. Mimmo “capatosta”, comunista e anarcoide, che un giorno si mise in testa di dimostrare all’Italia intera che era possibile accogliere gli uomini e le donne che vengono dal mare. Curdi, eritrei, somali, palestinesi, gente che fugge da guerre e fame. E allora spalancò le porte delle case disabitate del borgo, quelle che i suoi paesani avevano lasciato per andare via, al Nord o all’estero, anche loro alla ricerca di un futuro. Mimmo “’o curdu”, come lo chiamano, si mise in testa che i soldi che lo Stato spende per assistere migranti e profughi (i famosi 35 euro al giorno, quelli che la feccia razzista sventola nei talk-show come prova della bella vita concessa ai “clandestini, mentre gli italiani, signora mia…) dovevano servire per creare integrazione. Borse lavoro, corsi per imparare un mestiere, perfezionare la lingua.
E così, in quel piccolo borgo nacquero botteghe artigiane, nei vicoli si sentirono di nuovo le voci e i pianti dei bambini, nei bar della piazza Abdel scambiava due chiacchiere col compare Ciccio, quello che ha sempre da lamentarsi per la pensione che è scarsa e l’ospedale che è troppo lontano. Al parco, poi (quello di Riace superiore, pulito e pieno di colori), Fatima, che un giorno partì dall’Eritrea poteva mostrare a Concettina, quella che ha il marito che lavora alle poste, come si fanno le treccine ai capelli mentre i loro bambini giocavano sull’altalena, si rotolavano nella terra, si rincorrevano e si picchiavano. Come fanno tutti i bambini in tutte le parti del mondo. Semplicemente perché è normale. Ecco, il “modello Riace”, così lo hanno chiamato giornalisti, sociologi, studenti delle università internazionali che lo hanno analizzato e studiato, è tutto costruito sulla “normalità”. Quella schietta e sincera dei rapporti fra gli uomini. Qui uno vale uno non è uno slogan, ma pratica quotidiana. Ora Mimmo Lucano è sotto inchiesta, travolto da accuse pesantissime. Come si dice in questi casi, ma con linguaggio da farisei, la giustizia faccia il suo corso.
Bene, Mimmo è sicuro di sé, agli investigatori ha spalancato casa sua, il suo sgangherato ufficio di sindaco, messo a disposizione i suoi conti correnti. La Legge è inflessibile, con Mimmo Lucano non si sono usati riguardi. Uguale inflessibilità non abbiamo visto all’opera in casi ben più grandi e per uomini ben più potenti. Pazienza. Ma un dubbio ci tormenta il cervello, quella che riguarda Mimmo capatosta è solo una inchiesta giudiziaria, o c’è anche altro? Una manovra politica, un disegno che punta a demolire non una persona (Lucano non ha partito, è un uomo solo senza protettori politici, non ha pacchetti di voti), ma un modello. Perché Lucano ha dimostrato che si può fare, che integrazione e solidarietà non sono parole vuote. Che le grosse strutture e i finanziamenti milionari (quelli che finiscono sempre nelle solite tasche delle solite centrali cooperative) sono solo fonte di spreco e di arricchimento per gli speculatori e i loro protettori politici. E’ accaduto al Cara di Mineo, accade altrove. Lucano ha detto ai sindaci, quelli che si rifiutano di accogliere anche poche decine di profughi, uscite dalla paura che ogni sera la tv vi propina a reti unificate, sbaraccate le vostre inutili barricate e apritevi al mondo. Si può fare, io l’ho fatto. E lo ha fatto nell’Italia della crisi, del tutti contro tutti, del nemico finalmente ritrovato che non è il politico mariuolo e arruffone, meno che mai l’industriale arricchito dai sodi pubblici che chiude e ti lascia in mezzo a una strada, delle banche che falliscono, no: il nemico del povero è quello ancora più povero. Un capolavoro di ingegneria sociale.
Mimmo “’o curdu” nei mesi scorsi riceve una prima ispezione della prefettura di Reggio Calabria. I funzionari si trattengono poche ore e stilano una relazione che evidenza alcuni punti critici. Un lavoro frettoloso, lo giudica lo stesso Lucano. Nessuno lo ascolta e quelle pagine finiscono subito sui giornali. Alcuni felicissimi di dimostrare la “fine” del modello Riace. Il sindaco non ci sta e chiede al Viminale, che nel frattempo gli congela i fondi, un’altra ispezione, questa volta più dettagliata e accurata, meno frettolosa. Gli ispettori arrivano, ma questa volta del loro lavoro si sa poco o nulla. Intanto Mimmo è sotto inchiesta. I giornali scriveranno, pochi cercheranno di capire la complessità del modello Riace, molti tireranno fuori la ghigliottina per tagliare quella testa anarcoide e solidale. Colpirne uno per educarne cento funziona sempre. Insomma, lo stesso meccanismo usato per le Ong. Ricordate i taxi del mare, ricordate le lunghe discussioni in ben due commissioni parlamentari, le inchieste, le accuse? Risultato? Le Ong non sono più nel Mediterraneo, un mare senza più occhi indipendenti, dove si muore ancora ma nessuno lo sa. Gli sbarchi si sono fermati, dice il governo, e l’opinione pubblica è contenta. E chi se ne fotte dei campi di detenzione in Libia, dei trafficanti di uomini che ormai davanti alle telecamere di tv italiane parlano di trattative e soldi ricevuti dall’Italia. Tutto si tiene, tutto si deve tenere. Distrutte le Ong, randelliamo quel pazzo anarcoide di Mimmo “’U curdu”.
La storia si ripete. Dai tristi anni Duemila ai duri anni del dopoguerra. Mimmo è un po’ come Rocco Scotellaro, il sindaco di Tricarico. Poeta della “libertà contadina” (come lo definiva il torinese Carlo Levi) e socialista che guidava i suoi “cafoni” senza pane ad occupare le terre del latifondo. Non lo piegarono con la forza, ma con le carte bollate. Inflessibili prefetti e solerti pretori lo accusarono di concussione, truffa e associazione a delinquere (alcuni sono gli stessi reati contestati a Mimmo Lucano), e lo schiaffarono in galera. Quarantacinque giorni nella cella numero 7 del carcere di Matera. Il povero Rocco venne assolto dopo mesi di patimenti per “inesistenza del fatto”, ma quella vicenda lo segnò profondamente e forse fu una delle cause della sua morte, a soli 30 anni, per infarto. Anche lui, come oggi Mimmo capatosta, sognava una Italia libera, solidale e giusta.
di Enrico Fierro