«D’ora in poi chiamatemi non disabile»

Nella foto, Rosita Terranova mentre bacia la mano di suo figlio

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«D'ora in poi chiamatemi non disabile»

«”Disabile” come termine identificativo non mi piace. Coloro i quali sono chiamati e racchiusi nella categoria “Disabili” sono PERSONE affette da disabilità. È come se parlando di me non venisse più usata la parola “persona “, ma magari “mora”…”rompiscatole”… o altro. Io sono una PERSONA. Chi è affetto da disabilitá anche.

 

Fin quando si continuerà ad usare dappertutto il termine “disabile” (spiaggia per disabili, parcheggi per disabili, campi estivi per disabili…) io non vorró più essere definita “persona”, ma vorrò essere definita, considerata e chiamata “NON DISABILE“. Punto. E non per principio di uguaglianza.  Ma di equità e giustezza, semmai».

Chi scrive, mossa da calma solo apparente, è Rosita Terranova, cosentina, mamma del piccolo Antonio Maria, bimbo affetto da disabilità grave, divenuto ormai simbolo, a Cosenza e nel suo hinterland, della lotta alle barriere architettoniche e mentali, dei pregiudizi e dell’ignoranza che ruota intorno all’argomento disabilità. Antonio Maria non parla, non cammina, non si nutre da solo, vede poco e sente ancora peggio, vive attraverso sua madre, in tutti i sensi, che è diventata anche la sua voce. Passano la vita da prigionieri tra le mura di casa, diventata la cella in cui scontare peccati che non hanno commesso, e quelle degli ospedali, dove Antonio Maria giunge spesso in preda a crisi respiratorie gravissime.

Dalla loro bacheca facebook, quotidianamente Rosita e Antonio fanno conoscere il mondo della disabilità in relazione a un mondo incivile, dove le persone affette da disabilità, appunto, vengono rese disabili da una società che insegue un mito della perfezione che non esiste e non si preoccupa degli ultimi, dei deboli, di chi è lasciato senza voce e senza diritti.

Quella di Rosita e Antonio Maria è una storia di disabilità e solitudine, di dolore e indifferenza, raccontata sul social network in modo morboso e incessante, con la speranza di sensibilizzare l’opinione pubblica, o chissà, qualche carica pubblica. Ma alle nostre latitudini la politica è garante solo dei figli di papà, di quelli da sistemare per ricavarne consenso elettorale, dei figli di massoni da accontentare per non spostare gli equilibri.

Essere affetti da disabilità grave a Cosenza e provincia ti rende ancora più vulnerabile, ancora più “disabile”, perché il vero dramma in questa terra è non poter votare, non poter barattare il proprio voto, soprattutto se non figlio di quelli che “contano”.

 

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