L’archeologia calabrese trafugata e abbandonata

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L'archeologia calabrese trafugata e abbandonata

Fonte foto: Amantea on line

 

Di Francesco Cirillo

Visitare la Locride, partendo dalle coste turisticizzate , fa rivivere quell’antica Calabria che oramai non esiste più. Chi vuole capire e conoscere la Calabria deve venire qui. Lasciate stare le storie di mafia, la filmografia, le cronache nere. Qui la stragrande maggioranza della popolazione è gente per bene, vogliosa di conoscere gli altri, ospitale, gentile.

La Dea Persefone

La zona è piena di luoghi affascinanti, ricchi di storia, tutto inserito divinamente in un ambiente rigoglioso dove le brutture alle quali siamo abituati nella nostra costa tirrenica sono rarissime. Girovagate quindi nei paesi dell’interno, andate a Stilo a vedere la cattolica e le meravigliose chiese e soprattutto rendete omaggio al più grande filosofo del 500 Tommaso Campanella , a Gerace la sua meravigliosa basilica con 20 colonne autentiche di epoca greca, passate per Riace paese dell’accoglienza, vi perderete in un tour ricco di bellezza e soprattutto assaggerete una gastronomia davvero insuperabile nel gusto. Ho voluto in questo mio giro accompagnato da un gruppetto di amici oltre che della mia inseparabile moglie, visitare nuovamente il Museo archeologico di Locri, che si trova a poca distanza dalla bellissima cittadina. Nel Museo le cose da vedere sono straordinarie e nulla toglie ai musei di capitali europee dove vi sono sezioni riguardanti le epoche greche e romane. Tutto materiale proveniente dalla nostra regione e spesso depredati nel secolo scorso. Nel tempio dedicato a Demetra, madre di Persefone, nostra antica madonna ho pensato proprio a questi furti. Sono dovuto andare a Berlino, nel Museo Alte, per ammirare questa statua bellissima ricca di fascino e mistero.  E’ proprio qui che questa bellissima statua venne esposta per la prima volta nel 1915. Del caso si occupò uno studioso calabrese, il prof. Vincenzo Casagrandi che dopo una serie di accurati studi, pubblicò un libro nel quale descrisse come questa opera fosse stata trafugata ed invitava le forze politiche calabresi a muoversi per rivendicare l’opera e farla ritornare in Calabria o almeno in Italia.

Nel libro viene spiegato come avvenne il trafugamento secondo una puntigliosa ricostruzione fatta dallo studioso. La storia ha inizio a Locri. Durante dei lavori all’interno della vigna della famiglia Scannapieco venne alla luce la meravigliosa statua. Il proprietario del terreno , la fece subito nascondere in un frantoio di sua proprietà capendo l’importanza del reperto dal punto di vista  del guadagno. E si mise subito all’opera per trovare un compratore. Che trovò da lì a poco, non si sa come. Insieme al compratore , un ricco tedesco, misero la statua in una capiente cassa di legno e la imbarcarono su una nave che da Gioiosa Ionica la portò fino a Taranto. Qui grazie ad amicizie del tedesco la cassa con la statua venne nascosta nell’Arsenale. Ma qui avvenne l’imprevedibile. La statua venne trovata da alcuni operai, i quali senza capire l’importanza del contenuto, la trasferirono in un altro posto. Gli operai si misero al lavoro per cercare un compratore che trovarono ben presto in un furbo marchese, tale Francesco De Maldè che per una inezia la comprò. Questo marchese fece trasportare la statua in un luogo sicuro e poi la trasferì ad Eboli dove venne studiata minuziosamente da Virzì, un famoso antiquario palermitano spostatosi dalla Sicilia appositamente. Alcuni anni dopo la statua venne denunciata alla dogana come “statua da giardino barocca” e finì nelle mani dell’antiquario bavarese Hirsh, il quale la espose a Parigi nel 1914. Quell’anno, come sappiamo, scoppiò la prima guerra mondiale, ed il governo francese confiscò la statua, in quanto appartenente ad una persona di nazionalità tedesca e quindi nemica. A questo punto l’Hirsh cercò, come ultimo disperato tentativo per non perdere la statua, di far intercedere per lui presso le autorità francesi il suo amico Virzì, l’antiquario palermitano già citato in precedenza. Questi, forte anche della sua cariche istituzionali (era Console in una repubblica del Sud America) e del fatto che la Francia in quel periodo travagliato voleva che i rapporti con l’Italia rimanessero più che buoni, riuscì, affermando di essere il legittimo proprietario della statua, a far dissequestrare l’opera.  L’opera, però, non tornò mai in Italia; dalla Francia passò in Svizzera e qui l’Hirsh, tornatone in possesso, la offrì al Governo tedesco in cambio di un milione di marchi (una cifra enorme per l’epoca, siamo nel 1915). Nonostante la cifra però, il Governo tedesco raccolse in brevissimo tempo il denaro (anche attraverso una sottoscrizione pubblica) e lo stesso imperatore versò circa mezzo milione di marchi per la statua. Finalmente il cerchio si chiude, la statua (che, è bene ricordarlo, venne inventariata come “Persefone in trono da Locri”) trova dimora definitiva presso il Museo Reale di Berlino ed all’Italia, alla Magna Grecia, non resta nulla se non le polemiche. A proposito del Museo Archeologico di Locri alcune critiche vanno fatte. Nel ponte del 25 aprile una parte del Museo, quello riguardante l’epoca romana era chiuso “per mancanza di personale” ci è stato detto. E nell’area archeologica dove qualche sera prima c’era stato un convengo , le sedie di plastica erano ancora sparse nell’area. Vabbè.

L’ascia votiva di San sosti

Ed è una. Passiamo all’altra grande opera trafugata. Si tratta dell’Ascia Votiva di San Sosti. Si trova nel British Museum di Londra. Anche questa ha avuto un tortuoso iter dalla Calabria fino a Londra. Attualmente su questo importantissimo reperto archeologico c’è in corso una azione politica e di opinione, partita da San Sosti e sostenuta anche dal Parco del Pollino, che punta alla restituzione alla Calabria e verosimilmente al Museo della Sibaritide, del prezioso reperto. Fino agli anni 70 la targhetta esplicativa del museo londinese, riportava come luogo del ritrovamento “Casilini di S.Agata”, la studiosa Zancani-Montuoro fece poi correggere la targhetta con “Casilini di SanctuSosti”. Oggi, grazie al lavoro del Dottor Vincenzo De Luca, la dicitura è stata definitivamente corretta riportando “ From San Sosti, Calabria, Italy”.

Il Parco Nazionale del Pollino anni fa  sostenne la richiesta dell’allora  Sindaco di San Sosti (CS), Vincenzo Bruno rivolta al ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi di far ritornare l’Ascia Votiva di Kyniskos, dedicata alla dea Hera, in Italia. Si tratta di un importantissimo reperto archeologico del VI sec. a. C, rinvenuto nel comune del Pollino nel 1846 e trafugato tra il 1857 e il 1884. Per questo Sindaco e Amministrazione comunale hanno interessato il titolare del dicastero per i Beni e le attività culturali. E questa è un’altra.

Andiamo adesso a Papasidero. Qui non si è trattato di un trafugamento, ma di un semplice spostamento in un museo comunque italiano, quello di Firenze. Gli scheletri vennero trovati nella grotta del romito. Nella grotta, visitata da molti turisti, è possibile osservare, nel luogo del loro rinvenimento, delle sepolture contenenti ciascuno una coppia di individui disposti secondo un rituale ben definito. Una di queste coppie di sepoltura è stata rinvenuta nella grotta e due altre coppie nel riparo, poco distanti dal masso con la figura del toro. Di queste coppie di scheletri, la prima è conservata nel museo nazionale di Reggio Calabria, la seconda si trova nel museo fiorentino di Preistoria, insieme alle schegge litiche (circa 300) trovate nei vari strati esaminati nel riparo e nella grotta, la terza è ancora oggetto di studio da parte dell’Istituto di Preistoria di Firenze. Recenti scavi hanno portato alla luce i resti di una quarta sepoltura ancora più antica delle precedenti, evidente testimonianza di una intensa frequentazione del riparo del Romito da parte dell’uomo preistorico.

Una notizia positiva finale, che comunque dimostra quanti reperti siano stati trafugati negli anni passati proviene da Sibari. Qui nel 2001 vennero restituiti dal J.P.Getty Museum di Malibù e dall’Istituto di Archeologia dell’Università di Berna ben cinquemila reperti trafugati dal sito archeologico di Timpone della Motta nel territorio di Francavilla marittima a metà degli anni 70.  Come questi reperti finirono nelle vetrine di quei due musei non si mai potuto appurare. Dell’antico insediamento, tra gli ulivi e i cespugli, sono state rimesse in luce le fondazioni di edifici a pianta rettangolare, costruiti con blocchi di pietra. Sull’acropoli (Timpone della Motta) sono affiorati i resti di un grande santuario dedicato ad Athena, le cui testimonianze vanno dal VII al IV secolo a.C. Il santuario di questa divinità, nel quale convenivano sia gli abitanti della non lontana Sibari, sia gli indigeni che ancora abitavano tutt’intorno, non fu istituito “ex novo”. La collina della Motta era stata, infatti, sede di un importante centro abitato da Enotri, fin dall’età del Bronzo (Il millennio a.C.). Numerosi sono i depositi votivi dell’area che hanno restituito materiali compresi tra il 730 e il IV sec. a.C.: terrecotte votive, metalli,oggetti d’ornamento e un’enorme quantità di ceramica, d’importazione e locale. Vale la pena ricordare che quando fu istituito il Museo della Sibaritide, nel 1969, il materiale esposto nelle vetrine del piccolo edificio del Consorzio di bonifica, adibito a sede provvisoria del Museo stesso, era costituito in prevalenza dai reperti provenienti da Francavilla Marittima, più precisamente dai siti di T’impone della Motta e Macchiabate. Quei materiali, dal 1996, hanno trovato più decorosa sistemazione nel nuovo museo di Sibari, che custodisce oggi numerosi altri reperti di varie epoche, provenienti sia dagli scavi di Sybaris-Thurii-Copia, sia da tanti altrisiti della “chora” sibarita.

La stessa fine di tanti reperti certamente l’avranno fatto quelli ritrovati nell’area di Cossa. Qui anche scavando superficialmente con le mani si rinvengono ancora pezzi di piccole anfore e mosaici. Il sito che doveva essere sorvegliato tanto da far costruire già una casa museo e l’abitazione del custode è ancora in balia di tombaroli.

Infine la grande rapina avvenne negli anni 70 a Cirella al momento della costruzione della variante ss 18 che spaccò in due una grande necropoli graco-romana. Colonne, capitelli, monete, anfore vennero vendute da tombaroli ed antiquari e sono ancora oggi visibili in lussuose ville e alberghi.