Disabilità | Diritti violati, a Cosenza la battaglia solitaria di mamma Rosita

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Pubblicato su Giornale L’Ora 
Rosita è una donna bellissima. E’ bella soprattutto per la forza che ha dentro. Rosita è una mamma che ha trasformato il suo dolore in una battaglia serrata per i bambini meno fortunati e una, forse, l’ha già vinta.
Nella città di Cosenza tutti conoscono la sua storia e quello del piccolo di appena 5 anni. L’ha urlata a squarciagola tutti i giorni da quando è nato, non esitando neppure un attimo a scagliarsi contro quella classe dirigente politica sorda, inetta, bugiarda, che nega i diritti umani con arroganza.
Il dramma di questa donna, provata nell’anima e nel corpo, comincia quando il figlio tanto atteso viene al mondo troppo presto. Ma il piccolo, che chiameremo Mario (nome di pura fantasia) lotta come leone e nonostante i medici lo diano per spacciato, lui sopravvive. La vita, per una volta, è stata più forte della morte.
E anche se non potrà parlare, non potrà ridere, non potrà ricordare, non potrà camminare e si nutrirà con un sondino, l’amore che lega lui e la donna che l’ha portato in grambo non potrà essere scalfito. Rosita lo metterebbe al mondo altre, cento, mille volte.
Entrambi, però, devono scontrarsi ogni giorno con una società bigotta e razzista cammina spedita, senza mai voltarsi, per raggiungere i canoni di una perfezione che non esiste e che ci sta solo distruggendo. L’ufficio disabili di Cosenza è al quarto piano di uno stabile senza ascensore, per capirci. Ma tanto a Mario serve poco. Molto poco.
Mamma Rosita deve assistere il suo pargolo 24 ore al giorno, alcuni medicinali deve comprarli di tasca sua perché le Asp non le passa e nemmeno la pedana elettrica per il trasporto con l’auto. Le barriere architettoniche e la burocrazia contorta fanno il resto. E poi ci sono le leggi che non vengono applicate, le promesse non mantenute e l’indifferenza della gente. Sì, anche quella.
Per Mario la società riserva solo parole di commiserazione, quando invece occorrerebbe difenderlo dalle meschinità quotidiane con forza e con coraggio. Occorre che Mario diventi il simbolo di una battaglia per tutti i bambini nelle sue condizioni. Se non possiamo cambiare le persone a cui noi stessi abbiamo dato mandato di rappresentarci, possiamo almeno provare a cambiare il nostro atteggiamento nei confronti dei problemi.
Mario e i bambini come lui non devono essere lasciati soli. Altrimenti questo non sarà mai il mondo migliore che speriamo, per un bambino gravemente malato scontrarsi a forza con la “normalità” è un’ulteriore condanna.