Alto Tirreno, banche e assunzioni: spunta un imbarazzante verbale di accertamento

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Alto Tirreno, banche e assunzioni: spunta un imbarazzante verbale di accertamento

La vicenda risale al 2012 e ad oggi la protagonista non ha ancora avuto giustizia
 
Macchine da soldi guidate da gente avida e senza scrupoli. Potrebbe essere la giusta definizione per descrivere alcune banche italiane, in particolar modo qualcuna sull’alto Tirreno cosentino che con la complicità dei mancati controlli accumulano inquantificabili ricchezze speculando sulla pelle dei risparmiatori e dei lavoratori, tra quelle mura dove il termine legalità è un perfetto sconosciuto. Gente che per stipendi a poche centinaia di euro al mese mortifica, umilia e sfrutta la professionalità di quei giovani che guardano al futuro con speranza e che invece si ritrovano a fare i conti con una realtà che li catapulta al massimo nelle aule di tribunale per anni e anni senza neppure riuscire avere giustizia.
È proprio il caso che vi stiamo per raccontare e del quale siamo venuti recentemente a conoscenza grazie a un faldone di documenti ormai in nostro possesso. Di seguito riporteremo gli stralci dei verbali di accertamento seguiti alle denunce della lavoratrice, che portano alla luce, una volta di più, prassi consolidate di veri e propri atti delinquenziali.
È il 2012 e una giovane viene assunta il 9 luglio grazie a un contratto a progetto originariamente della durata di tre mesi. Tenete a mente la data perché già qui, come vi spiegheremo più in là, le successive indagini riveleranno le prime numerose controversie della vicenda.
Dal verbale di accertamento e notificazione n° CS89001/2013 del 31 maggio del 2013, risulta testualmente che la giovane «abbia iniziato effettivamente a prestare la propria attività lavorativa per [omissis], proseguendo nello svolgimento del rapporto sino al 7 novembre 2012, dunque oltre il termine formalmente apposto al contratto, per come è stato confermato dal legale rappresentante della banca in occasione dell’accesso ispettivo». Laddove per legale rappresentante si intende l’allora dirigente della banca in qualità di presidente.
Ma c’è di più. il legale rappresentante, è scritto ancora nel documento, «ha esibito copia del contratto di lavoro a progetto non sottoscritto dalla lavoratrice». In sostanza esibisce il contratto di assunzione che non porta la firma della dipendente. Errore o malafede? «Dall’esame della documentazione obbligatoria di lavoro – si legge ancora nel verbale – è emerso come la banca in questione abbia provveduto a comunicare al competente centro per l’impiego il relativo contratto di lavoro a progetto soltanto in data 23/08/2012 e con decorrenza dal 27/08/2012 sino al 21/10/2012, senza cioè a dire comunicare al Centro per l’Impiego l’effettiva decorrenza e durata del contratto di cui trattasi, ovverosia, dal 9/07/2012 sino al 7/11/ 2012».
Finita qui? Macché. «Ad ogni modo nell’ipotesi in trattazione, le modalità concrete di svolgimento della prestazione lavorativa da parte della [omissis] appaiono del tutto incompatibili con un contratto di lavoro a progetto». Che cosa si intende dire di preciso con questa affermazione? «La prestazione lavorativa della [omissis] è consistita semplicemente nel fornire informazioni ai soci della banca in merito ai costi della gita sociale, ovvero al prezzo delle cabine e del viaggio, nonché all’itinerario del viaggio stesso, per come già prestabiliti dall’agenzia di viaggio e dal direttore della banca, nonché dal presidente del consiglio d’amministrazione. Pertanto, alcun tipo di autonomia operativa o gestionale risulta rinvenibile nell’attività lavorativa svolta dalla [omissis] non residuando in suo favore alcuna possibilità di autodeterminare le modalità esecutive dell’attività.
In particolare, l’effettiva organizzazione della gita sociale, oggetto del contratto a progetto, era stata di fatto demandata a un’agenzia-terza, la LCG World con sede in Roma, limitandosi l’attività della lavoratrice alla sola raccolta delle adesioni ed ai relativi versamenti per la partecipazione alla gita sociale, ossia all’espletamento di compiti di natura meramente esecutiva rispetto ai quali non è dato ragionevolmente intravedere il raggiungimento di alcun risultato e/o realizzazione di un progetto per come normativamente inteso.
D’altronde, per lo svolgimento di siffatta attività, non occorreva una professionalità di grado talmente elevato o una particolare creatività, tale da ricorrere alla stipula di un contratto di lavoro a progetto, dal momento che si tratta di mansioni comunque elementari, semplici e ripetitive.
Ed infatti, a mente dell’articolo 61 comma 1 decreto legislativo n° 276/03 il progetto «non può comportare lo svolgimento di compiti esecutivi e ripetitivi, che posso essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
La circolare 29/2002 precisa ulteriormente che «i compiti meramente esecutivi sono quelli caratterizzati dalla mera attuazione di quanto impartito dal committente, senza alcun margine di autonomia anche operativa da parte del collaboratore».
Che i compiti meramente ripetitivi, invece, attengono a quelle “attività elementari, tali da non richiedere, per la loro stessa natura, nonché per il contenuto della mansioni nelle quali si articolano specifiche indicazioni di carattere operativo fornite dal committente”.
Ma vi è di più. La “genericità” del progetto dedotto nel contratto in esame porterebbe già di per sé riqualificare tale rapporto di lavoro nei termini di un rapporto di lavoro di natura subordinata, ma appare opportuno soffermarsi sulle modalità concrete di svolgimento della prestazione lavorativa, in particolare, sulla osservanza di un orario di lavoro fisso da parte della lavoratrice, che è risultato coincidere con quello osservato dagli altri dipendenti della banca, l’assenza del rischio di impresa, la mancanza di un’elevata professionalità per lo svolgimento di tale tipo di attività, risultando, si ribadisce ancora, tale tipo di attività del tutto elementare.
A tale ed ultimo proposito si evidenzia come lo stesso presidente della banca abbia precisato che l’autonomia della donna si sostanziava nel dare informazioni in merito alla gita sociale ai soci della banca ed a provvedere all’assegnazione delle relative cabine di viaggio».
Come sarà andata dunque a finire? Ve lo diremo nel prossimo articolo.
 

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