Emigrazione: il futuro della Calabria è in valigia

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Emigrazione: il futuro della Calabria è in valigia

Calabria, terra amara. C’è chi non vuole più avere a che fare con questa terra e la ribellione dei 20 anni non c’entra  assolutamente nulla. Una profonda riflessione su questa terra che non vuole cambiare ma cambia per sempre chi la vive
 
Se ne vanno sbattendo la porta, con mano tremante tengono la valigia, con il groppo in gola trattengono le lacrime; sono consci degli ostacoli che troveranno altrove, ma anche convinti che ce la faranno perché più scuro della mezzanotte non può venire. Sono i calabresi, quelli che non vogliono più avere a che fare con la loro terra. Non solo i giovani, ma anche gli adulti prendono le loro cose, le caricano sul primo treno che passa dalla stazione e se ne vanno salutando e bestemmiando.
Chi rimane è un eroe; andarsene è troppo semplice. Così commentano alcuni, accusando di pusillanimità coloro che tagliano la corda; nessuno di loro, però, si rende conto che la Calabria sta diventando un deserto. Amara costatazione che ha in sé qualcosa di paradossale, perché proprio in una terra in cui manca tutto, ci sarebbe solo da rimboccarsi le maniche e dar sfogo alle proprie fantasie. Infatti, secoli fa, le tribù migravano dopo aver esaurito le risorse del territorio, ora, avviene il contrario; si scappa per andare dove c’è un benessere che è conseguenza di uno sfruttamento intensivo di ogni centimetro quadrato del territorio. Dalla Calabria, però, si fugge perché non c’è più possibilità di cambiamento.
La Calabria è una società chiusa. Ogni famiglia è una tribù, ogni tribù lotta per la sua sopravvivenza. Attraverso accorte politiche matrimoniali, la tribù conquista nuovi spazi, e il gioco è fatto. Quando due tribù entrano in conflitto, la faida è cruenta, dura per anni, depaupera il territorio. Non è solo la ‘ndragheta che ragiona così, ma è tutta la Calabria. La ‘ndrangheta è solo la conseguenza di una logica tribale. Ovunque, in qualsiasi settore, pubblico o privato, la lotta è aspra e chi non vuole stare alle regole del gioco deve andarsene. Per cambiare, la Calabria deve negare se stessa, il suo sistema di valori, la sua identità. Peggiori tra tutti sono i professionisti della verità, Messia popolari che inscenano proteste di facciata, che mettono in discussione tutto affinché nulla sia messo davvero in discussione; insomma, sono gattopardi che si mordono la coda.
Chi se ne va, quindi, è una persona che non crede più negli annunci di un domani migliore. Chi rimane e prova a cambiare il sistema è solo un idealista sotto l’effetto del neoplatonismo, che scambia le bellezze naturalistiche, enogastronomiche e umane della Calabria per una apparizione dell’iperuranio. Invece, chi accetta tutto e sta bene qui è semplicemente un calabrese. Facciamocene una ragione.
di Forbidden
 

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