Ospedale di Praia, l'inquietante denuncia di un cittadino: «Così hanno fatto morire mio padre»

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Ospedale di Praia, l'inquietante denuncia di un cittadino: «Così hanno fatto morire mio padre»

Alberto Cunto è un ragazzo di 28 anni residente a Tortora. Fino a qualche settimana fa la sua era una vita normale, scandita dai ritmi lenti, e a volte noiosi, tipici dei paesini di provincia. Poi un giorno la sua serenità è stata risucchiata dal vortice di un destino infame che all’improvviso s’è portato via il suo papà, Salvatore, di anni 56. A strapparlo all’affetto dei suoi cari è stato un infarto ma come ogni morte che avviene da queste parti, i postumi sono accompagnati da polemiche ed enigmatiche domande a cui non si riuscirà mai a trovare una maledetta risposta: Salvatore poteva essere salvato?
Perché qui, nel territorio dell’alto Tirreno cosentino, la terra di nessuno bistrattata da ‘ndrangheta e politica, che a volte si fanno la guerra e a volte sono la stessa cosa, la sanità è un concetto astratto di cui si blatera solo in campagna elettorale e per evidenti fini speculativi. Sei anni fa, il 1° aprile del 2012, la classe dirigenziale dell’epoca pensò bene di chiudere, ovvero riconvertire l’ospedale civile di Praia a Mare in Casa della Salute smantellando di fatto la rete urgenza/emergenza per 62 potenziali pazienti. Da allora tra coloro colpiti da ictus, infarti, emorragie interne e tutte le patologie in codice rosso si sono formate due categorie: coloro che si sono salvati per il rotto della cuffia raggiungendo in tempo i presidi più prossimi e coloro che invece non ce l’hanno fatta. Una condanna senza appello.
Tra questi ultimi c’è proprio Salvatore Cunto, cardiopatico, che forse poteva salvarsi. La denuncia arriva direttamente dal figlio Alberto, il quale parla pubblicamente dal suo profilo facebook di un presunto ennesimo ritardo nei soccorsi, dovuto alla disorganizzazione e alla drastica riduzione dei mezzi, tra l’altro solitamente provenienti da presidi di altri territori. Oltretutto, se ci fosse stata una sala operatoria nel capt (centro di assistenza primaria territoriale) di Praia a Mare, ritornato ospedale solo sulle insegne e nelle fantasie politiche di qualche scellerato, Salvatore a quest’ora sarebbe ancora tra i suoi cari?
Questo non lo sapremo mai, ma di sicuro sappiamo cosa racconta a denti stretti suo figlio, che mette in risalto i dettagli di una vicenda i cui contorni appaiono addirittura inquietanti. Ecco il suo post, che pubblichiamo integralmente:
“Più passano i giorni più odio questa terra e i suoi servizi sanitari sopratutto. Meglio chiuso questo ospedale che aperto con un personale poco preparato e senza mezzi adeguati. È impossibile che un cardiopatico con infarto in atto possa perdere la vita a causa di un ritardo nei soccorsi. È impossibile che degli operatori del 118 possano perdersi all’interno delle strade di Tortora Marina, è impossibile perdere la vita a 56 anni abitando a 5 minuti dal presidio ospedaliero. È impossibile nel 2018 che un’ambulanza dell’Asp non abbia un navigatore satellitare integrato. È impossibile che nel 2018 si possa morire a 56 anni perché gli operatori 118 vadano in palla a causa di una omonimia via- paziente. Se ti chiami Cunto e abiti a Via Grazia Cunto sei destinato a morire, perché al personale sanitario in soccorso non sembra vero. Mio padre non tornerà indietro, ma spero che questa mia “denuncia virtuale” possa far riflettere qualcuno.
MI VERGOGNO DI ABITARE IN CALABRIA, IN PROVINCIA DI COSENZA, A TORTORA NEL COMPRENSORIO ALTO TIRRENO COSENTINO.
Ora che non ci sei più papà capisco quando mi dicevi “Albè, appena puoi scappa”, hai dovuto rimetterci la vita prematuramente però, e questo mi fa rabbia, tanto”.