Intervista a Ugo Foà, ebreo sopravvissuto alla segregazione razziale in Italia

Nella foto, Ugo Foà. Fonte foto: dal web

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Intervista a Ugo Foà, ebreo sopravvissuto alla segregazione razziale in Italia

«80 anni fa mi dissero che non potevo più andare a scuola». Così apre il suo discorso Ugo Foà. Un signore distinto e aperto che non tradisce mai il peso del passato che si porta dietro sé non nella profondità dello sguardo.

 

Nasce a Napoli nel 1928 e vuole iscriversi come tutti alla prima ginnasiale, ma la madre gli dice di no. È ebreo. In quegli anni, per lui, altre negazioni: non può frequentare il circolo privato di tennis e in palestra “il comandante” ovvero l’istruttore lo rimanda a casa. Piccoli gesti, avvisaglie, segnali che qualcosa stava cambiando come piccoli scosse che su un’anima piccola e sensibile possono però squassare le ossa, spostare le vertebre fino a far abbassare il capo e le spalle per sempre. Ma Foà non ha fatto così: ha studiato autonomamente e anche quando, nel dover sostenere esami, gli veniva sottolineato in rosso “razza ebraica” e gli veniva riservato l’ultimo posto. Sì, perché lui era un diverso, era “un ultimo”.

Lo abbiamo incontrato per parlare non di storia, nonostante quest’anno siano 80 anni esatti dalle leggi fasciste, non del suo passato, ma del nostro futuro. Come si dice anche troppo spesso un Paese che non ha memoria, non ha futuro. Abbiamo parlato di quei piccoli cambiamenti, piccoli spostamenti d’aria che lui meglio di chiunque altro può riconoscere, oggi che si stanno riesumando categorie vecchie, fantasmi con i quali credevamo di aver fatto i nostri conti, come “fascismo” o come la parola “ultimi”. Ultimi sono gli immigrati, i rom; al sindaco di Riace è stato affibbiato un numero: è uno zero. Come a togliergli valore e nome. Come avveniva per gli ebrei. Ed è esattamente questa la prima domanda.

 

Camilleri recentemente ha detto che il consenso che sente intorno a Matteo Salvini è simile a quello che sentiva intorno a Mussolini. Lei è d’accordo?

“Camilleri ha più o meno la stessa età mia e all’epoca eravamo tutti fascisti. Io sono stato – fino a quando ha potuto – figlio della Lupa. Certo c’era qualcuno che ha resistito, il seme della futura Resistenza, ma in generale c’era un’euforia. Salvini fa continue minacce per distrarre, gli va riconosciuta una certa abilità”.

Poi si sofferma appunto su quei piccoli gesti, quei piccoli spostamenti d’aria. “I fischi ai funerali di Stato per i morti di Genova sono gravi come il lancio delle monete addosso a Craxi”.

Certo le percentuali, anche in Calabria, sono molto alte.

“Ci sono anche gli astenuti che sono in molti e questo è grave. L’indifferenza. Il panorama politico non è molto allettante, ma io non mi asterrei. L’astensione è una vigliaccata. Ricordo di una partita una decina di anni fa, nella quale venne esposto uno striscione con scritto -1 in riferimento ad un omicidio… io non mi sarei seduto nemmeno lì vicino per non essere fotografato. Questa indifferenza è pericolosa”.

Ritorna in mente il titolo di un romanzo di Moravia, gli indifferenti appunto, scritto non a caso nel 1929. Il suo parere è interessante anche su un’altra questione.

Il razzismo in Italia non è cosa nuova, ma forse ora sta degenerando in violenza. Viene in mente Soumaila Sacko, ma anche un altro ragazzo pestato a sangue vicino a Tropea. È solo clamore dei media?

“I media fanno bene, ogni atto simile deve essere stigmatizzato. Anzi si dovrebbe fare anche di più. Non credo sia un tratto degli italiani, c’è chi soffia sul malcontento e sull’esasperazione. Poi bisogna distinguere…”

Si, perché la Calabria è anche Riace. Sono anche le persone di Crotone che accolgono i migranti sulla spiaggia spontaneamente. Sul valore degli uomini singoli, più che di categorie astratte, Ugo Foà ritorna spesso. Visita più o meno 30 scuole ogni anno – tra cui diverse volte al Liceo P. Metastasio di Scalea – “Ogni giorno con i ragazzi è come riprendermene uno di quelli che mi sono stati negati quando ero ragazzo io” Sono frasi che fanno pensare che il proprio tempo va al di là del valore che gli attribuiamo: abbiamo responsabilità e doveri in quanto uomini e in quanto immersi nella Storia e nel proprio tempo.

“Non a tutti, ma a qualche ragazzo qualcosa resta” a proposito di questo.

Il clima di questi giorni è frutto di un lungo impoverimento culturale che proviene da lontano. La scuola quanta responsabilità ha in questo? Forse più attenta a dare nozioni che a formare cittadini. Corrado Alvaro teneva i suoi studenti a scuola per evitare dispersione e altre vie…

“In questi casi le responsabilità sono molteplici, ma anche in questo caso va considerata l’importanza delle singole strutture, dei singoli docenti che si prodigano giorno per giorno. Nelle piccole scuole di periferia o nei centri. Il liceo di Scalea è un esempio. Il fatto stesso che mi chiamino significa che c’è attenzione per il problema poi certamente conta tutto il contesto; in ogni caso ovunque conta il lavoro del singolo”.

Sia in politica che nella scuola, lei non parla mai dell’Istituzione in sé, ma delle persone.

“Le istituzioni sono fatte di persone. Oggi non si può più parlare di istituzioni”, facendo riemergere la questione morale di Berlinguer.

Forse lei era piccolo, ma insomma… vi aspettavate quello che stava accadendo in quanto italiani, in quanto ebrei?

“Gli ebrei italiani, a parte qualcuno, erano tutti fascisti all’inizio. Come il resto. Certo nessuno si aspettava e non poteva nemmeno immaginare quello che di lì a poco sarebbe successo soprattutto con l’entrata in guerra.”

I tedeschi avrebbero dovuto iniziare un rastrellamento della città di Napoli e forse anche Ugo Foà e la sua famiglia sarebbero potuti capitare nelle mani dei loro boia. Poi ci furono le “quattro giornate di Napoli” e la situazione mutò. Foà è un testimone, uno degli ultimi. Ancora una volta. Non un testimone della tragedia, non un testimone di morte, ma un testimone di vita, di resistenza. E quello dobbiamo esserlo tutti. In vista dell’inizio di un nuovo anno scolastico, dopo 80 anni, soprattutto dalle periferie, dagli ultimi, dagli zero e la Calabria è certamente una periferia: professori, giornalisti, professionisti… persone.

“La parola è azione” scriveva Sartre e le sue lo sono certamente. In un tempo nel quale non si può parlare di istituzioni o grandi categorie sono piccoli spostamenti d’aria nella speranza un grande effetto farfalla.

di SAVERIO DI GIORNO

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