Vite straordinarie | La storia di Clementina Spinelli, disabile di Belvedere salvata dalla fede e dalla gioia di vivere

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Vite straordinarie | La storia di Clementina Spinelli, disabile di Belvedere salvata dalla fede e dalla gioia di vivere

Clementina Spinelli ha 29 anni, sguardo da cerbiatto e un sorriso contagioso laccato di un rossetto rosso tenue. E’ seduta sul divano nell’elegante casa di Belvedere, in provincia di Cosenza, si accarezza i capelli biondissimi e non vede l’ora di raccontare la sua incredibile storia.
Prima di cominciare ci avverte: la sua esistenza non è stata tutta rosa e fiori, tutt’altro. Ma dopo aver rifiutato di dare in pasto la sua vicenda a degli scrittori più o meno noti per farne dei libri, per la prima volta avverte l’esigenza di tirare fuori le sue emozioni e urlare a tutti il suo messaggio di fede, di amore e di speranza.
Tutto ha inizio quando è ancora nel grembo di suo madre. Le acque si rompono a otto mesi di gestazione, al cambio turno del medico che proprio quella volta non arriva puntuale. Clementina ha un ictus cerebrale e il suo cuore cessa di battere per diversi minuti, fino a che non viene rianimata.
La bimba sembra crescere sana, salvo poi accorgersi che non riesce a gattonare, a due anni deve ancora imparare a camminare. I medici la sottopongono ad almeno dieci interventi chirurgici, poi altri sei a 14 anni, quando le cose si complicano con la crescita. Però il dottore le dice che è l’ultimo sforzo, dopodiché potrà finalmente indossare i tacchi.
Invece si ritrova ingessata dalle caviglie all’anca per giorni, immobile, con una gamba andata in cancrena. I dottori le scavano la ferita mentre lei addenta un cuscino per trattenere le urla. Nel tempo che le rimane tra una disinfezione e l’altra, studia con un’insegnante per dare l’esame di terza media. Lotta come un leone, con tutte le sue forze. Ma quattro mesi più tardi, dopo un’atroce riabilitazione, scopre che l’operazione non è stata eseguita correttamente.
E quando piangendo chiede al medico com’è potuto succedere, il luminare con voce sprezzante ed epiteti irripetibili risponde che è colpa del suo peso, lievitato durante la degenza. La situazione peggiora al punto che i dolori lancinanti la spingono a implorare che qualcuno metta fine alla sua esistenza, ignara di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Qualche giorno più tardi, sua madre le dice che si recheranno al santuario della Madonna dello Scoglio, a Placanica, per assistere alla messa del mistico Fratel Cosimo. Clementina, che la vita ha reso atea, ci va controvoglia.
Ma già che c’è, prende parte alla messa e chiede la grazia: non accade nulla. Non sente calore nelle gambe e non si alza dalla carrozzina. Il giorno seguente, però, d’improvviso sente l’irrefrenabile impulso di andare spiaggia, vuole sentire l’odore del mare. Davanti agli occhi increduli di sua madre, Clementina, seppur claudicante, assapora la gioia di calpestare la sabbia finissima.
I genitori gridano al miracolo ma la figlia frena gli entusiasmi. E’ solo un caso, ritiene lei, dipeso unicamente dalla sua forza di volontà. Sarà, ma buon sangue non mente e sua madre non s’arrende, quell’anima buona va salvata da quel mare di dolore. Qualche tempo più tardi la convince ad andare in pellegrinaggio a Medjugorje. Lì Clementina, dopo le riluttanze, decide che non chiederà nessuna grazia ma una dimostrazione concreta dell’esistenza della Vergine. Proprio mentre attende spazientita la fine delle apparizioni sul monte, Mirjana, una dei sei veggenti, si dirige verso di lei, scegliendola tra 40mila fedeli, e le poggia un rosario sul palmo della mano che chiude in un pugno. «Adesso sai che la Madonna ti ama», le dice guardandola fissa negli occhi. Un brivido attraversa il corpo della miscredente.
Il suo percorso di fede inizia in quel preciso istante. E’ un percorso ardito, a tratti difficile, che spesso si confonde tra i segnali divini, da una parte, e le controversie della vita, dall’altra. Come quando, iscritta all’università, in ben due atenei non le riconoscono il diritto al trasporto presso gli atenei.  O come quando qualche idiota a Siena le ruba la carrozzina tenuti appena fuori l’appartamento per non deturpare il paesaggio. Ma dentro di lei, quella forza inspiegabile, trasforma piano piano la rabbia in opportunità.
In fondo, se la vita le ha parzialmente tolto l’uso delle gambe, le ha dato centinaia di altri motivi per essere felice. Uno di questi si chiama Giuseppe, suo fidanzato da tre anni, che da quella volta che l’ha vista in chiesa, a Salerno, non l’ha più lasciata. Il suo numero l’ha lasciato scritto sull’unico pezzo di carta che ha trovato in parrocchia, un biglietto da visita di un hotel situato all’estero, il San Antonio, protettore dei fidanzati. Precisamente, la struttura si trova a Medjugorje.
Clementina si sente amata, si sente la donna che avrebbe sempre voluto e dovuto essere. Si sente bella, si sente desiderata, si trucca e va dal parrucchiere perché adesso Clementina piace prima di tutto a se stessa. Come dovrebbe fare ogni donna. Guardarsi allo specchio e vedere la cosa più meravigliosa del mondo. Sono lontani i tempi in cui le persone la additavano come un mostro, uno sbaglio della natura. Ha anche imparato ad essere indipendente e soprattutto a essere forte, anche grazie all’inaspettato dono della fede. Quando scopre che suo padre è molto malato, rimane serena accompagnandolo fino alla morte, che se lo porta via in sei mesi. Fare i conti con Dio è diventato meno complicato.
Nonostante la disabilità, i dolori fisici e psicologi, oggi Clementina è un fiume in piena, un vulcano di idee che sprizza gioia da ogni poro. Perché, adesso lo ha imparato, la felicità è una condizione che ognuno conserva dentro di sé nella parte più intima della sua anima. Non possono scalfirla né un paio di gambe che non funzionano a dovere né i pregiudizi della gente. Non possono minarla neppure i ricordi o i dolori lancinanti, tanto meno la cattiveria degli esseri umani.
Da tempo ha fatto pace con il destino e ha capito, con la sua rinascita, che la vita vale sempre la pena di essere vissuta. Anche perché vivere, dopo tutto, è l’unico motivo per il quale veniamo al mondo.