Lo schiaffo di Cetraro alla ‘ndrangheta

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Lo schiaffo di Cetraro alla 'ndrangheta

Nella foto, il momento in cui le istituzioni scoprono la targa dedicata ad Angelo Vassallo

 

Cetraro, 27 maggio 2018, ore 19:30. Il porto della città è gremito di gente, di gente qualunque, di donne, anziani e bambini, venuti a godersi uno spettacolo unico, un panorama mozzafiato. Di lì a poco prenderà il via un convegno sul diritto alla felicità e al benessere sostenibile e tra i fiori e le aiuole, il tempo scorre lento, i bambini giocano e le persone sorridono, parlano, si abbracciano. Potrebbe sembrare un’immagine piuttosto comune, ma in quel contesto preciso fa venire la pelle d’oca, o, se volte, il nodo in gola dall’emozione. Perché quel porto non è un porto qualunque e la città di Cetraro non è una qualunque cittadina della Calabria per lungo tempo sopraffatta dalla criminalità organizzata e ancora oggi umiliata durante una “banale” tappa del Giro d’Italia.

Qui, i cetraresi, hanno saputo fare qualcosa di più che commiserarsi e piangersi addosso. Qui hanno sfidato la sorte predicando e praticando la legalità quando Cetraro, crocevia del sanguinario boss Franco Muto, si faceva fatica persino a nominarla ad alta voce. E hanno vinto.

Dalle vicende delle navi dei veleni in poi, fortunatamente smentite dalla verità processuale ma recentemente tornata in auge per colpa del servizio poco felice del giornalista Rai Stefano Rizzato, qui hanno deciso che l’etichetta dei mafiosi, quella orrenda, fastidiosa, inadeguata e fuorviante etichetta, che era ormai nota anche oltre i confini nazionali, dovevano, in un modo o nell’altro, scrollarsela di dosso. Adulti e bambini.

Hanno cominciato le istituzioni, con un allora sindaco Giuseppe Aieta, oggi consigliere regionale, che s’è messo di traverso tra gli affari loschi e i palazzi del potere, al punto che gli uomini di Muto, com’è contenuto nelle carte dell’operazione Frontiera, si erano dovuti arrendere: «Finché c’è questo guastafeste – dicevano, ma in modo decisamente più volgare – non possiamo fare niente». È vero non potevano fare niente, nemmeno riappropriarsi del porto con i soliti giochetti subdoli del prestanome pulito, perché Aieta, per l’affidamento della gestione del porto, s’è inventato la clausola della buona condotto morale. Basta una cattiva frequentazione e il porto te lo sogni. Così è stato.

L’hanno seguito a ruota docenti, amministratori, scolari, associazioni, mano a mano che passava il tempo Cetraro era sempre più la città della legalità, che della famiglia Muto, e quando la mafia perde il consenso, ci insegnavano Falcone e Borsellino, svanisce, si scioglie come neve al sole. Il 19 luglio 2016 la magistratura ammanetta Franco Muto e l’erede Luigi e consegna loro una postazione di “comando” decisamente ristretta: una fredda cella di un carcere in regime di 41bis.

Tutto finito? Ancora no. La ‘ndrangheta scalpita e grida vendetta. Ma stavolta urla e non sente nessuno. La stampa denuncia, la gente anche, agli sgherri di Muto, che litigano per scalare la vetta della criminalità e occupare il posto lasciato vacante, non rimane che il traffico di cocaina. Ma c’è crisi, i clienti sono sempre meno e la droga sempre più scadente, così nella guerra tra imbecilli in atto sulla costa tirrenica fanno il loro ingresso i cugini camorristi e gli amici crotonesi, quelli della scuola mafiosa Grande Aracri. È il caos.

Passa il tempo, Giuseppe Aieta, dalla Regione Calabria, fa piovere fondi sulla città di Cetraro, per rifare, ammodernare e ingrandire, piazze, scuole e pure il porto. Ne arriva uno da 5 milioni di euro con cui si aggiungeranno altri 200 posti barche e centinaia di nuovi posti di lavoro. La criminalità organizzata, o quello che ne rimane, si sfrega le mani.

E allora a Giuseppe Aieta tocca rimettere le cose in chiaro, che quel porto è il simbolo della sinergia tra alto senso civico, buona politica e magistratura che fa il suo dovere. È un capolavoro di civiltà, è la prova provata che dove c’è lo Stato, la mafia fa una brutta fine. La ‘ndrangheta lì non è più ben accetta.

Così ad Aieta viene in mente di dedicare il pontile del porto a una icona della legalità. Non una qualsiasi, una che chiarisca il concetto una volta e per sempre. Tipo Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica, meglio noto come il sindaco pescatore, che si era opposto alla gestione privata del porto e pretendeva la gestione pubblica. Vasallo è stato ucciso il 5 settembre del 2010 in un attentato la cui matrice pare essere mafiosa. Pare che l’amatissimo primo cittadino sia stato finito a colpi d’arma da fuoco a scopo preventivo, hanno dichiarato i giudici, per via di uno scellerato patto tra ‘ndrangheta e camorra. Le indagini, che sono ancora in corso, hanno rivelato qualche mese addietro che il mandante dell’omicidio politoco-affaristico potrebbe essere proprio Franco Muto, altrimenti detto “il re del pesce”, che nella frazione cittadina di Acciaroli, dove fu relegato da quattro anni di soggiorno obbligato, avviò una proficua rete criminale con cui non ha mai più perso i contatti.

Alla presenza del fratello, Dario Vassallo, del presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, del sindaco Angelo aita, di amministratori vicini e lontani, ma soprattutto di tanti cetraresi orgogliosi, che non hanno più niente da temere, domenica scorsa, si è dunque scoperta la targa con la quale adesso il porto di Cetraro ha il suo nuovo, amatissimo re: Angelo Vassallo.

Per Cetraro è l’inizio di una nuova era.