Praia, demanio e usucapione: il Comune si oppone a una sentenza che non convince

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Praia, demanio e usucapione: il Comune si oppone a una sentenza che non convince

Una veduta dell’isola Dino nella città di Praia a Mare

 

Un querelle infinita. Così si potrebbe definire la vicenda che vede da anni contrapporsi una famiglia praiese, divenuta proprietaria di un terreno demaniale per usucapione, e l’attuale amministrazione guidata dal sindaco Antonio Praticò, il quale nell’aprile del 2016 ha siglato dopo oltre 60 anni di trattative l’accordo con l’Agenzia del Demanio per la restituzione all’ente comunale di oltre 170mila metri quadrati di terreni che ricadono nel tratto compreso tra il viale della Libertà e il Lungomare Sirimarco. Ora la diatriba finisce in tribunale, dopo la decisione da parte del Comune di opporsi alla sentenza del 27 ottobre 2009 emessa in via definitiva dal Giudice Onorario Antonio Magliocchi. L’aggettivo “onorario” sta ad indicare che si tratta non di un magistrato togato, assunto tramite concorso, ma di un avvocato a cui è stato affidato l’incarico mediante nomina elettiva e che svolge le proprie funzioni in maniera non professionale, poiché di regola esercita la giurisdizione per un lasso di tempo determinato.

A rappresentare il Comune di Praia a Mare in tribunale, invece, sarà un avvocato appartenente al foro di Paola.

Ma prima di elencare i motivi che hanno spinto il Comune ad adire le vie legali per tentare di risolvere l’annosa questione, è bene partire dal principio. Nel 1983, grazie alla Legge 113 (in deroga all’art. 12 del 24.12.1908), nota come la Legge Praia, sui terreni demaniali arriva il via libera per la realizzazione delle opere murarie, che ne sorgono a centinaia, mentre nel 1987 un decreto del Ministero della Marina Mercantile trasferisce i bene di proprietà demaniali al patrimonio dello Stato. È qui che il Comune comincia la sua battaglia per l’acquisizione dei terreni da rivendere ai privati, ma quando due anni fa il passaggio di proprietà si concretizza nella sala consiliare del municipio praiese innanzi al direttore dell’Agenzia del Demanio, il dott. Roberto Reggi, il sindaco si scontra con una realtà che, a suo dire, provocherà non pochi problemi alle casse comunali. Molti cittadini, grazie al benestare degli organi preposti ed un consiglio comunale ad hoc, avevano avviato le pratiche volte ad usucapire i terreni (cioè ad acquisirli mediante titolo originario basato sul perdurare per un determinato periodo di tempo del possesso su di un bene, che per un bene immobile matura trascorsi 20 anni), tanto che ad oggi solo un numero ristretto di persone ha stipulato il contratto con il Comune per la compravendita dei terreni.

Tra tutti i cittadini che hanno scelto la via dell’usucapione, c’è però chi la pratica l’ha già portata a termine nel 2009, suggellandola con una sentenza passata in giudicato. La pratica, però, non convince del tutto il primo cittadino Antonio Praticò, che nel 2009, e cioè all’epoca in cui l’elettorato aveva conferito il mandato al biologo Carlo Lomonaco, sedeva tra i banchi della minoranza.

Lomonaco, dal canto suo, si dice estraneo ad ogni tentativo di favorire questo o quell’altro cittadino, anche perché, spiega numerose volte durante le interviste, nel 2009 il Comune di Praia non era ancora proprietario dei beni demaniali e pertanto non solo non poteva prendere decisioni in merito e quindi interrompere la trattativa tra Agenzia del Demanio e privati cittadini, ma che avrebbe preteso che la liberatoria sottoscritta dai cittadini nella verifica preliminare avrebbe messo al bando, secondo la sua versione, la possibilità di richiedere l’usucapione.

Ma ogni tentativo di dialogo tra i due, è andato in frantumi. Per la questione demanio, per intere settimane tra Praticò e Lomonaco sono volate scintille. Con l’attuale primo cittadino che trascinerà la vicenda nuovamente nelle aule di tribunale.

Ma cos’è che avrebbe fatto indispettire così tanto il sindaco della città dell’isola Dino? Le motivazioni, che ora passeranno al vaglio di altri giudici, sono elencate in numerose pagine:

1.“Inesistenza della sentenza nei confronti delle parti e dei terzi per violazione dell’art. 102 cpc in quanto la decisione doveva essere necessariamente pronunciata nei confronti del Comune di Praia a Mare, nella qualità di litisconsorte (chi ha una lite giudiziaria insieme ad altre persone, o come attore o come convenuto, ndr) necessario”. L’usucapiente sarebbe stato obbligato ad instaurare il giudizio con quast’ultimo poiché promissario acquirente nei confronti di Agenzia del Demanio e Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ciò però non è avvenuto;

2.“Legittimazione ad impugnare la sentenza la sentenza da parte del terzo Comune di Praia a Mare quale litisconsorte pretermesso (omesso, ndr) ad esistenza del pregiudizio subito dal Comune a causa della sentenza impugnata”. In sostanza, il Comune, essendo per legge il promissario acquirente del compendio demaniale oggetto della sentenza di usucapione, sarebbe stato privato del bene pur avendo pagato il relativo prezzo;

3.“Nel merito, si evidenzia che difettavano i presupposti per l’emissione della sentenza dichiarativa di usucapione”, per almeno quattro motivi:

A) “Mancato decorso del termine valido ai fini dell’usucapione”. In sostanza dai documenti si evincerebbe che l’iter procedurale dell’usucapione sarebbe prima della validità dei termini, e cioè prima che siano trascorsi 20 anni. Molto più precisamente, il decreto ministeriale cui si fa riferimento per l’avvio della pratica è il 30 giugno 1987, la preposizione della domanda giudiziaria risalirebbe invece al 22/24 gennaio del 2007, quando erano dunque trascorsi 19 anni, sei mesi e 24 giorni.

B) “Impossibilità di ottenere una pronuncia di usucapione tra parenti”. L’usucapiente, con la domanda originaria, ha citato in giudizio i proprietari del bene che risultano essere l’Agenzia del Demanio e due parenti. Ma è impossibile usucapire tra parenti perché nel caso di specie, entrambi i familiari «sapevano che l’usucapiente stava utilizzando l’immobile e tolleravano la situazione. Perché possa usucapirsi un immobile, infatti, occorre non solo utilizzarlo per venti anni, ma anche esercitare sullo stesso il possesso tipico del proprietario e cioè usarlo come farebbe il proprietario. Ciò nei rapporti tra parenti non è possibile».

C)“La prova espletata è inattendibile e carente sotto ogni profilo e non doveva essere presa in considerazione dal Giudice”. Ossia, il Giudicante avrebbe dovuto valutare con accortezza il contenuto della dichiarazione testimoniale, che però sarebbe stato lacunoso e incompleto, dal periodo di possesso del bene fino al ruolo effettivo dell’usucapiente. Inoltre, nel documento si evidenzia come le deposizioni dei testimoni siano talmente simili da lasciar pensare che siano state studiate a tavolino e dalla stessa persona.

D) “Consapevolezza dell’usucapiente di non possedere animo domini”. In altre parole, l’Agenzia del Demanio, nel proprio atto introduttivo nel contestare l’esistenza dei presupposti ai fini dell’usucapione, ha precisato che l’usucapiente, unitamente ai suoi familiari, aveva fatto richiesta di «poter acquistare il lotto del terreno sul quale insiste la loro abitazione effettuando una vendita diretta». Tale istanza dimostrebbe in maniera inconfutabile che l’usucapiente era consapevole della natura del terreno e della circostanza che la stessa era a conoscenza dell’altruità del bene posseduto. Ma vi è di più. In riferimento ai primi anni della pratica, l’usucapiente risultava risiedere, da coniuge, in tutt’altra via della cittadina.

E) “Il Giudizio si è svolto senza la partecipazione di altro litisconsorte necessario che avrebbe radicato la competenza territoriale del tribunale del foro erariale ex art. 25 cpc, vale a dire il tribunale di Catanzaro. Pertanto, la sentenza può definirsi viziata, anche perché il relativo giudizio si è svolto senza la partecipazione di altro litisconsorte necessario che, nel caso di specie, era il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ora la parola passa nuovamente ai giudici.