Paola (Cs), Antonella Politano: "La mia famiglia distrutta dai veleni di una centrale"

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Paola (Cs), Antonella Politano:

(La foto che ritrae un momento felice della famiglia Politano prima dei drammi)
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Pubblicato su Notia
Chi parla di Terra dei Fuochi in Campania o a Crotone commette un grosso errore di valutazione. L’Italia, per lo più il sud, è un cimitero di veleni e rifiuti tossici. E non solo presumibilmente nei terreni del’area dell’ex fabbrica tessile Marlane o nei mari del Tirreno a causa delle presunte navi inabissate contenenti materiali altamente inquinabili.
Anche da una centrale di un’azienda di Stato per i servizi telefonici sita nel cuore di un centro abitato possono fuoriuscire elementi capaci di modificare il dna arrivando a distruggere un’intera famiglia. E’ quanto sarebbe accaduto a Paola (Cs), dove la percentuale del tasso di mortalità per tumore pare sfiori quattro volte la media nazionale. E’ successo che sei persone su 7 sono morte in giovane età per il medesimo tumore. E’ successo, come al solito, che qualcuno ha fatto finta di non vedere e non sentire. Qualcun altro ha minacciato e messo a tacere chi voleva far luce. Ma non lei, Antonella Politano, combattiva e unica superstite della sua famiglia, che in tutti in oltre trent’anni anni ha lottato con le unghie e con i denti affinché venisse fuori la verità. 
Tutto ha inizio quando Antonella, oggi 51enne, poco più che diciottenne vede spegnersi nel giro di pochi mesi la sua adorata mamma per un carcinoma alle ovaie. In un primo momento nessuno fa caso alla centrale adiacente alla loro abitazione, tutti pensano alla cattiva sorte. Quattordici anni dopo, lo stesso tumore si porta via, nell’arco di tempo di cinque mesi, prima Gabriella e poi Annamaria, sorelle di Antonella. Ed è proprio qui che alla donna si accende la prima lampadina e inoltra la richiesta dell’istittuzione di un registro tumori rivolgendosi all’allora direttore del’Asp di Cosenza. Richiesta rimasta inascoltata per 17 lunghi anni. I dubbi diventano certezze quando due anni dopo muoiono anche Patrizia, l’altra sorella, poi la zia, che viveva nella stessa casa, e in ultimo suo padre, per un cancro alla prostata. Uno sterminio. E in quel preciso momento Antonella decide di farsi giustizia.
Invia una serie di denunce alla Procura, la sua storia diviene un’interrogazione parlamentare per mano dall’onorevole Franco Laratta, l’Arpacal riconosce finanche il danno ambientale ma il processo penale non individua nessun colpevole. Spalanca le porte a tv e giornalisti, in molti raccontano la sua storia. Ma non tutti. Qualcuno invece, poco prima di andare in onda nel programma Rai “La vita in diretta”, pare le abbia suggerito di smorzare i toni. La donna, però, fa finta di non capire e a telecamere accese racconta tutto il dolore che ha in corpo. Con tanto di nomi e cognomi. Ma le istituzioni latitano e chi può si gira volentieri dall’altra parte. Anzi, molto spesso la accusano di voler raccontare la sua storia perché le piace la popolarità. Poco male. Antonella fa spallucce e va avanti per la sua strada come un treno, con la bellezza e la forza di chi non si lascia piegare né dal fato maligno né dallo spettro della morte che aleggia in cuor suo. E ad oggi le rimangono due sole speranze: che il processo civile le restituisca la dignità che troppe volte le istituzioni hanno leso e che la gente smetta di fare da complice a certi poteri cominci a fare una guerra di civiltà per il bene di tutti. Perché, assicura, a Paola la gente continua a morire di tumore senza sosta.