Sanità in Calabria | L'inferno della donna accusata di essere pazza perché nessuno sapeva guarirla

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Sanità in Calabria | L'inferno della donna accusata di essere pazza perché nessuno sapeva guarirla

(Fonte foto: blog L’urlo del silenzio)
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I dolori lancinanti l’avevano distrutta fisicamente e psicologicamente, ma il tour sanitario negli ospedali di mezza Calabria aveva procurato alla giovane donna di un paesino dell’alto Tirreno cosentino una sola diagnosi: pazzia, isterismo e depressione. Il suo malessere era solo il frutto della sua immaginazione.
L’hanno trattata così per anni, diversi medici di diversi ospedali e studi privati della provincia di Cosenza e Catanzaro, senza distinzioni, rischiando davvero che la donna diventasse matta, divorata dall’indifferenza e dal dolore. Fino al giorno in cui, a Faenza, dopo sei anni finalmente incontra il medico che la salverà.
Di seguito la lettera della donna, che preferisce l’anonimato per paura di eventuali ritorsioni, inviata alla nostra redazione e corredata da tutta la documentazione necessaria.
“Tutto è iniziato nel 2011 con un fastidioso blocco di schiena. Visto il persistere dei dolori faccio tutti i controlli del caso, ma non ho niente, dicono i medici. Me ne convinco anche io quando il dolore di tanto in tanto si affievolisce, poi ritorna, poi scompare con i medicinali, riuscendo in un certo senso a tenerlo sotto controllo.
Due anni fa, però, succede che mentre ero intenta a ripulire casa, l’anta di un armadio mi finisce dritta sul coccige. E’ un dolore pazzesco, ma ho i figli piccoli e non ci vado in ospedale per non sottrarre loro del tempo. So cosa significa entrarci, avevo già subìto vari interventi per la lussazione della spalla, appendicite, biopsia vescicale, rettoscopia, laparoscopia, e chi più ne ha più ne metta. Ero terrorizzata. Solo che la situazione dopo alcuni giorni degenera. Io non riesco più ad espletare le miei funzioni fisiologiche, sono spesso in preda a mal di testa lancinanti e a quel maledetto mal di schiena. In più , per non farmi mancare nulla, mi accorgo di avere un inizio di paralisi alla gamba sinistra.
E’ qui che comincia la mia via crucis negli ospedali. All’inizio mi sottopongo a una risonanza magnetica, con la quale non risulterà nulla. In un primo ospedale della zona il dottore senza troppo visitarmi mi propone un’operazione a cielo aperto alla schiena. Mi rifiuto. Allora provo in un altro nosocomio ma qui è anche peggio. Il medico mi consiglia un ricovero in un centro di neurologia. Stavolta accetto ma prima di riuscire a prenotare qualche settimana dopo, nel frattempo consulto ancora un medico. L’altro ospedale mi sottopone a elettromiografia e finalmente riscontra un problema sul nervo l4 l5, riguardante il plesso sacrale.
Il calvario vero e proprio comincia proprio da qui. Nonostante la diagnosi, la prognosi non si torva e ai problemi di salute si aggiungono quelli della vita privata, che ne fanno il periodo più nero della mia esistenza. Proprio quando al lavoro mi bloccano lo stipendio, mio cugino si toglie la vita: aveva anche lui problemi di schiena che non era riuscito a risolvere. Mi sento confusa, ho paura, non riesco a reagire. Anche mio padre aveva fatto la stessa cosa pochi anni prima. Penso alle parole dei medici e per un attimo penso che hanno ragione loro.
Così, dopo qualche giorno, accetto di essere ricoverata sempre in un ospedale del posto, temo di crollare in balì degli eventi. Ai medici racconto di mio padre e a quel punto non pensano più alla mia schiena, alla mia gamba, ma a sottopormi delle visite psichiatriche. La diagnosi è agghiacciante: psicopatia con disturbo conversivo. In sostanza, mi dicono che sono una pazza isterica.
Rassegnata, comincio a prendere i farmaci ma sono talmente potenti che mi costringono a letto per due giorni, in una sorta di coma vigile. Per scongiurare il problema fisico mi sottopongono a un’altra elettromiografia. Durante l’esame il medico si accorge che non riesco a muovere il piede, così lo raddrizza di forza e poi dice ai collaboratori: «Ok, possiamo continuare». Niente, l’esito dello screening è negativo così riconfermano la prognosi: percorso psichiatrico riabilitativo e antidepressivi a volontà.
Mi dimettono ma non vedo nessun cenno di miglioramento, anzi peggioro. Sono sempre più nervosa e demotivata, ma per fortuna non mi arrendo. Stavolta contatto un ortopedico, il quale mi ascolta, mi sottopone a meticolosi controlli e finalmente mi viene prescritta una cura per i dolori alla gamba. Me è solo un miglioramento effimero. Così è il dottore stesso che mi manda da un noto neurochirurgo, sempre in Calabria. Qui non trovo la soluziona, ma certamente conforto. Quando il medico mi fa ripetere l’esame di risonanza magnetica, mi dice che il problema c’è ed è anche piuttosto evidente, ma non essendo il suo campo di specializzazione non può aiutarmi.
Iniziano le mie estenuanti ricerche per trovare dunque il medico giusto. Lo trovo a Barcellona, dice che mi può operare e che ha già trattato casi simili al mio, risolvendoli tutti. C’è solo un altro piccolo problema: l’intervento ha un costo di 20mila euro, che io non ho. E intanto i dolori stavano davvero per portarmi alla pazzia.
Decido allora di lasciare la Calabria e tentare la “fortuna” altrove. Mi dirigo a Bologna, da un riconosciuto luminare per sottoporgli il mio caso, preso in seria considerazione da un suo collega. Dopo le visite di rito è certo: «Signora lei non è affatto pazza. Ha un problema serio di salute ma noi in questo ospedale non glielo possiamo curare, non siamo ancora preparati, provi in altri presidi».
Proprio quando avevo perso le speranze, al medico di Bologna viene in mente il nome di un suo collega, che lavora poco lontano, a Faenza, e corrisponde al nome di Vanni Veronesi. Di fretta e furia prenoto la visita e il medico capisce subito cosa mi affligge, mettendomi subito in lista di intervento a cui vengo sottoposta il 30 giugno scorso. L’intervento è di tipo mini invasivo del filum terminale e disancorazione del midollo, non proprio una cosetta facile, solo che tutti i sacrifici sono ripagati ad appena due ore dalla fine dell’operazione. Mi alzo dal lettino pensando di sognare: il mio piede si muoveva, la gamba riuscivo ad alzarla e la schiena era tornata diritta. Ma soprattutto nessun dolore, né alla testa né alla schiena. Insomma quattro giorni fa io sono nata per la seconda volta in vita mia.
Ho deciso di raccontare questa storia perché in Italia ci sono tanti altri pazienti nelle mie condizioni e come me vengono curati per depressione quando non si riesce a trovare la giusta diagnosi. Io a queste persone vorrei dire ciò che ha detto uno psichiatra a me durante una delle ultime visite, mentre mi trovavo seduta di fronte aspettando una diagnosi che in realtà non esisteva: «Si alzi signora, questo non è il suo posto. Lei ha davvero problemi di salute, cerchi un valido dottore che l’aiuti a guarire»”.