La Rosa dei venti

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Un racconto di Martino Ciano

Dedicato agli amici Soraya Calabrò, Domenico Calabrese e al loro pub La rosa dei venti, dove è nato questo racconto. Praia a Mare, 31 ottobre 2014. Questo racconto è già stato pubblicato sulla rivista letteraria Rapsodia del mese di febbraio 2015.

 

Quella sera mi sono perso in un bicchiere di birra Franziskaner. Tra sogni che toglievano ossigeno ad altri sogni e incubi che gareggiavano su piste di doppio malto, ho piantato la mia solitaria rosa vermiglia, scavando una buca ai bordi del cervelletto. Senza equilibrio e privo di orientamento, con la terra tra le mani e i vermi fra le dita. Ho fatto tutto di notte, dopo che la pioggia ha percosso le strade. Poi mi sono seduto e mi sono riposato.

Seduto… a un tavolo della Rosa dei venti, il pub dove quella sera sono andato per piantare il fiore che tra i suoi petali stringeva le mie turbolenze.

Ho abbandonato l’amica riccia e l’amico taglia XL, i miei due compagni di uscita. Li ho lasciati seduti al mio fianco ma distanti dai miei pensieri. Cinguettavano come uccelli all’alba mentre affondavano patatine nel ketchup e nella maionese. Il sole si è alzato nelle loro bocche, spinto su dalla lingua che levitava per le risate.

Ridete amici passeri. Ridete anche se l’odor di fritto vi avvolge e la salsa tonnata vi sporca il palato. Ho sussurrato a denti stretti. Ho preferito il monaco impresso sul bicchiere della mia birra. Rideva con la mano poggiata sullo stomaco, mentre con l’altra stringeva il boccale. E sorridendo mi ricordò: Non di solo pane vive l’uomo.

L’amico taglia XL mi ha chiesto perché non avessi ancora detto una parola. Non poteva immaginare che stavo ascoltando un’omelia di libertà: Non di solo pane vive l’uomo. Vero, le divine imbeccate si ascoltano, quindi, finita la prima birra ne ho chiesta un’altra, rispondendo ad XL che bisogna risparmiare il fiato per i momenti adatti. Lui non immaginava che ero su una mongolfiera, tra nuvole bombate come mozzarelle di bufala, seduto in un angolo ad addentare la mia piadina tonno, pomodoro e insalata da narcisista – salutista. Non pensava che basta poco per estraniarsi dal mondo, per volare via, anche se i piedi restano a terra e gli occhi fissano un muro. A lui bastava lei… l’amica riccia con il suo cinguettio.

Gli raccontò della sua storia d’amore con un uomo che poteva esserle padre. Un rapporto dolce da cariare i denti, caldo da sciogliere le budella, brillante da far scoppiare gli occhi. Diceva tutto questo mentre si puliva il labbro superiore sporco di ketchup e si toccava i capelli ricci-gellati-laccati-intonacati, in boccoli ferrosi come molle di un materasso.

Su Facebook proclamiamo il nostro amore, tra cuoricini e facce ridenti con gli occhi spalancati. Emoticon che hanno assunto una pasticca di ecstasy. Ci dichiariamo su Twitter eterna fedeltà, inventandoci frasi minute come le nostre anoressiche emozioni. Gira e spera, spera e gira, con cento quaranta caratteri in formato Times New Roman componiamo la formula che farà schiattar di invidia quei single pronti ad azzannarci pur di separarci. Eppur si annidano dietro tanti Mi Piace o Follower e spiano, spiano la nostra caduta.

Traducevo così le parole dell’amica riccia che sbraitava mentre l’amico taglia XL le accarezzava le gambe con gli occhi. Quelle cosce sode, avvolte nelle calze di nylon che finivano negli stivaletti a punta. Feticista, feticista di un XL. Me lo sentivo che nascondeva qualcosa di strano, tra le pieghe del lardo. Pensieri impuri da cui il monaco impresso sul boccale mi distolse.

Non di solo pane vive l’uomo, bevi e continua il tuo viaggio. Stai zittendo le tue turbolenze. Qui sei venuto senza pretese, senza la convinzione di stravolgere la tua serata. Solo per annusare… La rosa dei venti.

Questo mi ha sussurrato e mi ha fatto tornare il sorriso. Mi sono alzato e sono andato fuori. È arrivata la pioggia e ha colto tutti di sorpresa; sono tornate le stelle e la luna e hanno colto tutti di sorpresa; sono rientrato io dopo aver fumato una sigaretta e mi sono stupito di me stesso. Sul tavolo c’erano due bicchieri vuoti, due monaci gemelli che mi fissavano come corvi. Avevo bevuto due birre e non mi ero accorto che l’amica riccia e l’amico taglia XL erano spariti… senza salutarmi.

Mi sono seduto, in attesa, come se pregassi, ma i due monaci avevano finito la loro omelia. Anche il mio viaggio era terminato. La mia mongolfiera era atterrata in quel giardino che si trova ai bordi della coscienza, un po’ prima dell’inconsapevolezza, in cui i venti trasportano i ricordi e li sparpagliano sul selciato come tagliole per i lupi. E io camminavo con la mia rosa in mano… liturgia della libertà.

Rosa strappata alla pioggia, come una lacrima caduta dal viso di un’amante passata, trapassata in maniera imperfetta. C’era una volta l’amica riccia che si toccava i capelli come quel sabato sera, nuda, distesa sul letto di casa mia, in una notte nata da brindisi e nicotina. Non immaginava che gli amori nati da un bicchiere sono solitari, ognuno viene e torna con sé. Non c’è amore il giorno dopo. Ci si usa solo per anestetizzarsi.

E questa delusione la cinguettò sui social network e la sua solitudine post-sbronza-erotica si moltiplicò per il numero di MI PIACE e di commenti virtuali, scagliati come frecce contro l’anonimo cattivo… io.

Me, portabandiera di amori moderni, di sesso a dodici gradi alcolici. Mi beccai bestemmie e maledizioni da amici di amici che erano anche miei conoscenti. Ci sono voluti mesi prima che facessimo pace ma lei vuole sempre ingelosirmi, come ha fatto quella sera, sparendo con XL mentre parlava del suo amore… Fotoromanzo.

Ma non di solo pane vive l’uomo.

E così ho piantato questo ricordo nel giardino, nel pub-fiore, dopo aver pagato il conto e lasciato la mancia. E uscendo ho immaginato che lei fosse in bagno, a tirarsi come un pezzo di carta velina. Forse, davanti allo specchio, avrebbe ricordato quando fuggì con me, dal pub-fiore, per nascondersi dall’amico XL che la intratteneva con i suoi discorsi filosofici e le scriveva poesie, per conquistarla, mentre l’odor di patatine si impossessava delle sue narici e il ketchup correva sullo smalto dei suoi denti.

Pensavo a tutto questo mentre mi allontanavo da La rosa dei venti, dove quella sera abbandonai le mie turbolenze, in amore… in amore… e con la soave iattura di un monaco che mi ha ricordato che: Non di solo pane vive l’uomo. E per un attimo mi sono voltato per vedere se la mia rosa fosse ancora lì, dove l’avevo piantata. Vicino quel tavolo, dove ho lasciato il ricordo dell’amica riccia, di un fiore, delle mie turbolenze. Liturgia della libertà.