Disabilità | Diritti violati, il drammatico appello di una mamma cosentina: 'Aiutateci, noi prigionieri in casa nostra'

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Di mamma Rosita, che a Cosenza conoscono ormai anche le pietre, ce occupiamo già da tempo (clicca per leggere anche Diversità e disabilità | Rosita, mamma coraggio: ‘È la società che ti rende disabile, potrei uccidere qualcuno’ Disabilità | Diritti violati, a Cosenza la battaglia solitaria di mamma Rosita). La sua è una storia di disabilità e solitudine, di dolore e indifferenza, raccontata sul social network in modo morboso e incessante, con la speranza di sensibilizzare l’opinione pubblica, o chissà, qualche carica pubblica. 
Tutto inizia sette anni fa. Suo figlio scalpita per venire alla luce e nasce con tre mesi d’anticipo, ma al primo gemito capisce che la vita fuori dal grembo materno non è tutta rose e fiori: i medici gli riscontrano subito un’emorragia cerebrale. Ma di tornare indietro, dopo tanto travagliare, non se ne parla nemmeno e nonostante le condizioni disperate i dottori riescono a tenerlo aggrappato alla vita. Il cervello del piccolo, però, subisce inevitabilmente dei danni irreversibili. A sette anni non parla, non cammina, mangia alimentato da un sondino e le sue capacità di apprendimento sono pari a un neonato di 3 mesi. Ogni suo bisogno, fisico e psicologico, viene interpretato ed espletato grazie all’unica persona che se ne prende cura 24 ore al giorno, sei giorni su sette, 313 giorni all’anno, ovvero sua madre. La donna, che è diventata anche molto esile per la fatica, cresce suo figlio da sola. Ogni distrazione potrebbe risultare fatale.
Così l’esistenza di questa madre si è trasformata in un inferno. Nessun passatempo, nessuno svago, vita sociale  ridotta all’osso e il drammatico peso di una condizione che può solo peggiorare. In tutto questo lo Stato si limita a concedere una misera pensione di invalidità, rinnegando con arroganza ogni ulteriore diritto.
Di seguito, l’ultimo, ennesimo sfogo sfociato in un lacerante grido d’aiuto lanciato da mamma Rosita, direttamente dalla sua pagina facebook.
“Sono una donna costretta a trascorrere ventiquattro ore al giorno in questa stanza.
Adesso.
Da tempo.
E, se non verrà creata una legge ad hoc che consenta a noi caregiver di uscire da casa in piena serenità, costretta a rimanerci PER SEMPRE.
Altrimenti, negli ospedali, nei centri di riabilitazione, negli studi medici e nelle farmacie.
Per prendermi cura del mio adorato bimbo ho dovuto smettere di lavorare.
Di uscire.
Di essere padrona del mio tempo.
Del mio corpo.
Delle emozioni.
Sono infermiera, terapista, burocrate, politico, dottoressa, psicologa, badante.
Non posso essere più figlia, sorella, zia, amica, collega, moglie o compagna.
Umana.
E NON POSSO ESSERE MAI MAMMA.
Sono sola.
Forte e sola.
Lo Stato italiano non mi tutela in alcun modo, ma pretende che io paghi sempre le tasse e che non impazzisca dal dolore perché potrei nuocere, così, alla società.
Sono diventata povera.
In tutti i sensi.
E morirò povera.
Passo la vita chiusa in un “carcere” da cui non uscirò mai.
Il LAVORO che svolgo non viene riconosciuto e non viene, quindi, retribuito perché la mia Nazione da’ per scontato che una Mamma di un figlio disabile DEBBA solo accollarsi ogni responsabilità nei suoi confronti e non avere più una vita.
Né alcuna possibilità di fermarsi un attimo per riposare.
In Italia, i genitori come me, DEVONO svolgere gratuitamente un lavoro che svolto da altri, in ambiti diversi, viene invece retribuito e tutelato da leggi specifiche.
Eppure, il lavoro che svolgo- con amore e abnegazione – é UTILE all’intera mia Nazione.
Voglio subito una legge che tuteli chi, come me, ha smesso di vivere per regalare attimi di vita pieni di dignità al proprio figlio, fratello, sorella, padre, madre disabile.
Io che non chiedo mai nulla, ora chiedo questo.
Per me.
Per tutti ❣
E se nessuno farà ció al posto mio, LO FARÒ IO.
Perché anche io lavoro, e tanto.
E anche io voglio festeggiare il Primo Maggio.
E voglio che lo possano festeggiare tante altre persone.”